
Il Salone 2021 è stato davvero un Supersalone, a dispetto di alcuni pronostici negativi. Un toccasana sia per i creativi, con effetti curativi immediati, che per le aziende, per le quali servirà ancora qualche tempo. Quando sarà tutto passato, non dimentichiamocene.

Caleido nasce come contenitore editoriale per esplorare il mondo creativo nel quale viviamo, tramite le voci dei suoi protagonisti. In questa Milan Design Week, di voci ne abbiamo ascoltate molte, ma soprattutto ci siamo potuti reimmergere in un universo di espressioni creative la cui mancanza ci soffocava. La creatività senza possibilità di espressione – e dunque di condivisione, scambio, interazione – agonizza. E di conseguenza il business, senza creatività, muore. Pur rilevando una contrazione quantitativa dei visitatori stranieri, e una “energia fisica” post-pandemica non ancora ottimale, credo che per almeno 5 motivi questo Supersalone possa essere definito un successo. E, anche quando torneremo ad un format più tradizionale, spero non butteremo alle ortiche questi forti miglioramenti.

Inclusione
È vero che per sua natura il design, rispetto alla moda, è più inclusivo. Ma ultimamente la tendenza stava virando verso una minore accessibilità (leggi qui il pensiero di Federica Sala sul tema). Questo format espositivo ha invece abbattuto le barriere d’accesso agli stand, avvicinando fisicamente le persone agli oggetti esposti. Ricordiamoci, anche in futuro, che il design va toccato, va visto da vicino.
Identità
Negli ultimi appuntamenti (non solo a Milano) le collezioni erano diventate talmente estese e varie, che il dna identitario delle singole aziende era pressoché svanito. Certamente il timone stilistico dei marchi del design è oggi affidato a designer diversi dai fondatori, ma credo che ispirarsi al patrimonio di codici identitari unici e riconoscibili del brand per il quale si disegna sia un plus assoluto. In questo Supersalone gli spazi espositivi erano estremamente ridotti, e dunque le aziende hanno dovuto scegliere cosa portare; costringendole dunque ad un pit-stop tecnico per interrogarsi su quali fossero i prodotti più iconici e significativi, che spesso coincidono con i più identitari.
Attrattività
Con meno offerta di prodotto da vedere, i visitatori riuscivano a focalizzarsi meglio su ciò che era esposto. Era tutto più immediato, evidente, attrattivo, di facile comprensione, e di conseguenza la concentrazione dei fruitori era maggiore. Questo Supersalone è stato concepito come una sorta di Super-vetrina, con il meglio di ciascun brand. Del resto, nel mondo digitale nel quale viviamo, per approfondire e scoprire l’intera offerta a catalogo basta visitare il sito o l’account Instagram del brand con un click, anche in diretta. Forse questo concetto di “stand window” dovrebbe essere esplorato anche per il futuro.
Digitale
Digitale è reale (leggi qui il nostro pensiero al riguardo), anche per il mondo del design. Per la prima volta ho vissuto diffusamente un’esperienza integrata tra fisico e digitale (al di fuori della moda): molti brand hanno deciso di ampliare il limitato spazio fisico con una narrazione digitale di loro stessi o dei loro progetti speciali, traghettando le persone al di fuori delle mura della fiera. Il digitale crea inoltre un legame forte tra brand e clienti, che inizia in un contesto fisico (conoscenza, in fiera) ma poi si consolida tramite le piattaforme digitali (considerazione, tramite i social, newsletter, sito, follow-up tramite mail, ecc). Scopri qui l’importanza della direzione creativa digitale per un brand)
Valoriale
Nel loro storytelling, i brand più avanguardisti hanno puntato sul proprio valore sostanziale, spostando l’attenzione dalle questioni puramente estetiche a quelle più qualitative. Creando installazioni fisiche e digitali, o scovando nuove modalità di presentazione, per raccontare la propria qualità produttiva, attività sostenibili, materiali riciclabili, tecniche innovative, ricerca e sviluppo. È questa la vera differenza tra design qualitativo e copy-of-the-copy-of-the-copy.


